Il Bharata Natyam è la più antica forma di teatrodanza dell’India.

Nata in seno alla ricca e complessa ricerca spirituale dell’induismo, è stata eseguita per molti secoli soltanto nelle principali festività religiose all’interno dei templi, ed è diventata un’arte eseguita sui palcoscenici di tutto il mondo solo nel Novecento.

Grazie alla sua complessità tecnica e formale, alla ricchezza del suo linguaggio simbolico, alla profonda consapevolezza del valore estetico come veicolo spirituale, oggi la danza indiana è riconosciuta essere una delle più antiche e raffinate tradizioni coreografiche e attoriali dell’uomo a cavallo tra mito, rito e arte.

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La storia

Le origini della danza indiana risalgono a circa 2500 anni fa. Diverse pitture parietali, incisioni e sculture provenienti dalla civiltà di Mohenjo Daro ed altre testimonianze letterarie mostrano la nascita di questa antichissima arte. Una lunga tradizione popolare è andata lentamente codificandosi fino a venire formalizzata in un trattato del II secolo d.C. – il Natya Sastra – che ne ha fissato i principi, la tecnica, il linguaggio mimico.

Differenti stili di danza classica sono praticati e perfezionati nelle diverse regioni e tradizioni familiari sono cresciute all’interno dei singoli stili.

Nella grande maggioranza dei casi la danza veniva esibita nei templi come massima forma di devozione agli dèi. Era eseguita da giovani ragazze chiamate Devadasi (in sanscrito: serve della divinità) come una disciplina sacra.

Il Katak nell’India del Nord, il Manipuri nel Nordest, l’Odissi nella regione dell’Orissa, il Kuchipudi nell’Andra Pradesh, il Bharata Natyam nel Tamil Nadu e il Kathakali e il Mohiniattam nel Kerala, sono gli stili di danza classica indiana giunti fino a noi. La tecnica di queste forme può essere in tutti i casi fatta risalire alle regole stilate nel Natya Sastra.

Una fondamentale innovazione e sistematizzazione delle coreografie di Bharata Natyam è avvenuta molti secoli dopo, ai primi dell’Ottocento, ad opera di quattro fratelli musicisti di Tanjore, tradizionalmente noti come Tanjore Quartet. Ancora oggi la struttura di una performance di Bharata Natyam rispetta la sucessione di coreografie definita a quell’epoca.

Non molto tempo dopo la danza indiana ha conosciuto una grave crisi in concomitanza con la colonizzazione inglese. L’idea di poter dialogare con il divino attraverso un’esibizione spettacolare era estremamente lontana dalla morale vittoriana, e le stesse devadasi vennero considerate alla stregua di prostitute. L’esibizione della danza nei templi venne proibita ed il desiderio della classe dirigente indiana di avvicinarsi ai gusti e costumi della grande potenza contribuì a gettare un discredito profondo su quest’arte e sulle sue praticanti.

E’ stato solo nel Novecento che, sull’onda del desiderio di rivalutazione dell’identità culturale nazionale in sintonia con il progetto di indipendenza dell’India, la danza viene considerata un patrimonio da riscoprire.

Rukmini Devi, di famiglia bramina e fondatrice del Kalakshetra, si dedicò negli anni ’30 alla rivalutazione della danza contribuendo alla sua riabilitazione sociale presso le classi dominanti e trasformando la pratica della danza classica in un’arte ammirata.

Balasaraswati, che si esibì per la prima volta a 7 anni, diede vita viceversa a una rinascita del Bharata Natyam partendo proprio dal milieu culturale, quello delle devadasi, in cui la sapienza artistica aveva giaciuto silente per molti decenni.

Dopo di loro, molte altri artisti hanno contribuito a riportare la danza classica indiana al ruolo che le spetta: se non la più antica, sicuramente una delle più lunghe tradizioni di arte scenica del mondo, prezioso e sofisticato crocevia di spiritualità, tecnica e ricerca estetica.

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La leggenda

In un tempo remoto, preoccupati del declino morale delle moltitudini di uomini che non potevano attingere agli insegnamenti conservati nelle sacre scritture, gli dèi rivolsero a Brahma il Creatore la loro supplica: che Lui, fonte di ogni misericordia trovasse una nuova strada per portare nel cuore degli umili e dei semplici la conoscenza della virtù, della prosperità del benessere spirituale.

Brahma acconsentì e condusse presso di sé un anziano uomo, il saggio Bharata, per trasmettergli un nuovo sapere, frutto degli insegnamenti già contenuti nei quattro Veda esistenti: la parola dal Rig Veda, l’espressività o Abhinaya dallo Yajur Veda, la musica dal Sama Veda e l’esperienza estetica dall’Atharva Veda.

A queste arti fu aggiunta dal divino Shiva Nataraja la conoscenza della danza stessa, il movimento alla base della creazione di tutto l’universo.

Così, nella leggenda, nasce il Natya Sastra [da Natya, arte scenica fatta di teatro e danza insieme e Sastra, insegnamento], il testo con cui gli dèi offrivano agli uomini la danza.

Da allora, donne e uomini praticano e rappresentano quest’arte per dialogare con il divino.

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Lo spirito

Il Bharata Natyam conserva gli antichi valori rituali della sua origine mitica: la danza come offerta alla divinità trova nel trasporto emotivo la sua stessa sorgente.

L’eco profondo di questo spirito diventa per il danzatore una conseguenza: la danza racconta il senso della ‘nostra’ vita, diviene la rappresentazione del ‘nostro’ quotidiano interiore. Gli stessi dei sono rappresentati come persone umane, immersi nelle più varie contraddizioni, liti, gelosie, passioni. Le canzoni sono dei motivi devozionali dove la danzatrice è la devota e il dio è il suo diletto. L’eroina in attesa del suo amato non è un tema di sciovinismo maschilista come si crede oggi ma rappresenta il Jeevatma (il Sé individuale) in bramosa attesa di unirsi con il Paramatma (il Sé divino).

Quando il danzatore crede in questo, non solo si sposta su un piano più elevato di consapevolezza, ma porta il suo pubblico con sé. Questi allora si lascia alle spalle lo spettacolo provando esattamente ciò che è stato scritto dal saggio Bharata:

Natya [il teatro danza] insegna il dovere a coloro che lo avversano, l’amore a coloro che lo desiderano, punisce coloro che mancano di educazione e di condotta, promuove l’autocontrollo in coloro che sono indisciplinati, dà coraggio ai codardi, entusiasmo ai valorosi, illuminazione a coloro di mente ristretta e dona saggezza all’uomo colto. Procura distrazione ai re, conforto alle menti afflitte, benessere a coloro che lo desiderano e tranquillità agli spiriti combattuti”.

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